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Il portale
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Brerus


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Museo del Calcio,
la memoria storica del
"gioco più bello
del mondo"
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Ottant'anni
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L'Olimpo giamaicano
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I tappeti di Nader
sfidano il tempo

Rosetta Griglié


Libri per i Senzabrera
Rosetta Griglié


I negozi gemelli
del design artigiano

Paolo Brera


Con una supermostra
esplode la Milano picassea

Rosetta Griglié


Il Samizdat dei poeti
della via Madonnina
G. D’Ambrosio Angelillo


Alla ricerca
del manzo perduto

Brunella Bianchi


Boffi, il grande design
entra in bagno

Marcella Perodo


Artisti in "Famiglia"
da 120 anni

Vittoria Colpi


Qui solo tappeti solari.
E di classico, niente
Rosetta Griglié


È vero oppure è falso?
La risposta cerchiamola
al Museo del Collezionista

Rosa Gialdina


A Barbianello da
Roberto e Mariarosa

Simposio Gianni Brera


A passeggio
con de Chirico

Osvaldo Patani












 

Libri per i Senzabrera

Senzabrera, li ha chiamati Gianni Mura in un memorabile articolo. Sono quelli che sentono la mancanza di Gianni Brera, che si domandano spesso che cosa mai avrebbe detto o più ancora scritto il Giôann di qualunque avvenimento sportivo o gastronomico o letterario che li colpisce. Gianni, insomma, ha lasciato un bel vuoto.

Rosetta Griglié


Giannibreramania, l’ha chiamata il settimanale Panorama. Si parla della quantità di iniziative che vengono prese per onorare Brera, dai tornei di calcio — finora cinque, di cui due, a Cantù e a Trezzano sul Naviglio, sono ormai diventati appuntamenti fissi del calendario dello sport — fino alla mostra fotografica che Ambrogio Fusar sta trascinando in giro per l’Italia, dal Premio Gastronomico dei cuochi pavesi pensato e diretto da Mario Musoni.

E ancora quello letterario che si svolge tutti gli anni a San Zenone al Po, paese natale dello scrittore e giornalista, e che "laurea" tre scrittori che si riallacciano in modo efficace alle tradizioni regionali, di qualunque regione d’Italia.

Sono intitolate a Brera una ventina di vie del Nord Italia (nemmeno una piazza, peraltro: e chissà mai perché), diversi impianti sportivi, un vino — lo Zuanne, dell’amico Vittorio Moretti, che possiede l’Azienda Agricola Bellavista. Esiste un Simposio Gianni Brera che ne prosegue l’opera in campo gastronomico ed esiste un Premio giornalistico assegnato ogni anno a un giornalista sportivo dai suoi colleghi dell’Associazione lombarda. Esiste, da quest’anno, un Premio Gianni Brera per lo Sportivo dell’Anno, e a metà novembre sarà assegnato a… be’, si fanno molti nomi, ma in realtà la giuria si riunirà solo più avanti nel corso del mese. Esiste, infine (se nulla ho scordato), la nostra rivista online e on paper che dedica sempre uno spazio alla giannibreramania, anche attraverso il sito curato da Marco Marangoni.

A Gianni Brera scrittore sono state dedicate, negli anni, numerose tesi di laurea. Oggi escono due libri, Giôannfucarlo. La vita e gli scritti inediti di Gianni Brera (Il Regisole, Pavia 2001, Lire 69.000) e I percome e i perché (Il Regisole, Pavia 2001, Lire 25.000), che è l’antologia dei racconti finalisti del Premio Gianni Brera con un’ampia sezione breriana dove compaiono diversi inediti (o… mal editi) di Brera.

L’introduzione alla biografia di Brera, scritta dal figlio Paolo e da Claudio Rinaldi, si deve a Bruno Pizzul e può essere letta clickando qui. Il volume è ampiamente documentato e ricco di fotografie inedite, oltre a contenere scritti di Brera risalenti addirittura all’anteguerra.

I percome e i perché offre una palestra agli scrittori animati da un forte rispetto per la propria e altrui identità regionale e pronti a metterlo su carta. È una lettura molto piacevole e, come si è già detto, la sezione breriana contiene molti scritti di Gianni Brera.

Entrambi i libri si trovano in libreria oppure possono essere richiesti direttamente presso l’editore Il Regisole - Selecta Srl (largo Panizza 4, 27100 Pavia PV, tel. 0382.304.262 ). Buona lettura!








I negozi gemelli
del design artigiano

Quand'è che l'artigianato diventa arte? Difficile a dirsi, ma è su questa tremula linea di demarcazione che si sono piazzati due singolari negozi, Eclectica e Atribu (corso Garibaldi 3, tel. 0287.6194 Eclectica, 0286.7127 Atribu). Non si trattava solo di risparmiare sull'affitto aprendo la luce di Atribu sull'ombra di Eclectica, era proprio la filosofia a collimare di brutto, giustificando il casto connubio.

Paolo Brera

Dice Teresa Ginori, che offre oggetti casalinghi come lampade, maniglie e bicchieri, che l'essenziale è rifiutare quello che è industria. "Materiali industriali sì", dice, indicando alcune stupende lampade in corian (brevetto DuPont), "ma lavorati artigianalmente", e l'artista in questo caso è Remo Zanin, laziale, che si è dato la pena di scolpire gli steli con le stesse procedure che usa per il legno.

"Gli oggetti li vendiamo perché la gente se ne innamora", dice Ginori, che fa questo lavoro da dieci anni e costringe il negozio a evolversi di pari passo con il suo gusto, che non è offesa definire eclettico – senza una pluralità delle preferenze, come offrire a ciascuno dei clienti quella che sarà anche sua e lo spingerà all'acquisto?

Quindi ecco le sorprendenti stoviglie in specchio, i materiali pirotecnici: lattice e metacrilato, policarbonato, cristallo di rocca, ceramica bagnata in oro e argento, alluminio satinato, rame lucido e rame opaco, ottone invecchiato, pergamena, vetro in mille modi angariato, piegato, fuso, soffiato: materia che una quarantina di designer-artigiani trasfigura e doma per un effetto estetico sempre originale e non di rado entusiasmante.

Anche Roberta Faletti, di Atribu, che con la sorella Maura e il cognato anima il suo negozio di abbigliamento, ha una filosofia di pezzi unici, anche se non necessariamente fatti su misura. Lei pure lavora da dieci anni, e prima stava in via Bramante, lasciata nel 1995 per aprire bottega dove finisce, in un'invisibile linea sul pavimento concettualmente del tutto analoga al confine fra Russia e Mongolia, quella dell'amica e compassionaria Ginori.

Sono quasi tutti giovani gli stilisti che realizzano i capi di vestiario, e spesso sono giapponesi: Taro Sano, Maki Noguchi, Yumiko Sato: ma abitano comunque a Milano, come l'italo-messicana Adriana Morandi. Retaggio del periodo iniziale, quando Faletti offriva abbigliamento etnico? Lei nega, indica le borsette, i gioielli e gli abiti che ci circondano: ma quale etnico, questo è design modernissimo! Impossibile dissentire.






Con una supermostra esplode
la Milano picassea

Nel 1917 Djaghilev mette in scena il suo balletto cubista Parade. I costumi di scena sono disegnati da Pablo Picasso, un giovane artista venuto a Parigi dalla Catalogna. Grande successo per il coreografo - Djaghilev è sempre Djaghilev - e dopo qualche tempo anche per il pittore.

Rosetta Griglié





I suddetti costumi li troviamo fino al 27 febbraio a
Palazzo Reale, insieme ad altri lavori che coprono l'intero arco della vita di Picasso: dagli esordi in Spagna ai primi contatti con il mondo parigino dell'arte, dai periodi blu e rosa alla sperimentazione cubista, dal "ritorno all'ordine" della parentesi neoclassica alla metamorfosi stilistica degli anni Trenta, dalle opere politicizzate fino all'ultima e vitale stagione creativa.

A quasi cinquant'anni dalla prima grande esposizione picassea di Palazzo Reale, che aveva fatto epoca, la mostra di adesso ribadisce la centralità di Picasso nell'arte moderna. La curano Bernice Rose e Bernard Ruiz Picasso.



Si parla di oltre duecento opere fra dipinti, sculture e disegni. Molti dei lavori esposti, ormai sparsi fra le maggiori raccolte pubbliche e private del mondo, erano sempre rimasti presso l'artista e i suoi eredi e conservano un carattere intimo capace di introdurci nell'universo familiare di Picasso, dandoci un accesso inedito alla sua personalità.

 

Picasso ebbe in effetti una vita sentimentale pirotecnica, nei suoi quadri si riincontrano Olga Khokhlova, Marie-Thérèse Walter e Dora Maar, per non dire diverse demoiselles più o meno avignonesi. Ma due ritratti dei figli Claude e Paloma disegnano un altro aspetto di questa vita, meno pirotecnico anche se non meno affettuoso, ampiamente documentato nell'esposizione.







Il Samizdat dei poeti
della via Madonnina

La Fata che mi rallegra la vita da quando son nato è lanosa, furba; amante dei cani bolliti, stanotte m’è venuta in sogno e m’ha detto una parola elementare ma saggia: "Amami". Per Milano piovevano preghiere pie e calme, la mia malinconia si allagava piano di foglie gialle di autunni passati, quando lei si è chinata su di me e mi ha baciato: "Sei un cane arancione che mi fa senso", mi ha detto, "ma mi piaci lo stesso".

G. D’Ambrosio Angelillo

Così, cara città mia, tu hai perfettamente ragione a sostenere che il soldo pesa più dell’Anima, ma pure io ti rispondo che anche i Poeti hanno il loro bravo stipendio degli dèi: pane, aglio e chiacchiere fosforescenti… Così Roberto Longhi è il direttore di una lunga catena di supermercati di buone azioni, Mauro Sinigaglia è protetto dalla Madonnina in persona, Icaro Ravasi è presidente di una banca di belle canzoni felici…

E noi di Brera aggiungiamo che l’autore di questo delizioso vaniloquio, con altri poeti che si pubblicano da sé in Samizdat, violando il nostro marchio registrato ma senza addolorarci, si trovano ogni sera dalle 21 alle 2 del mattino per la strada in via Madonnina, e gli si può telefonare al 3383.946.036.






Alla ricerca del manzo perduto

Lui la signora Mucca Pazza, sia ben chiaro, né vista né sentita. Perché Angelo Rossetti, della Macelleria Rossetti - Carni Pregiate Piemontesi (via Canonica 24, tel. 0234.912. 18), i suoi signori manzi li controlla personalmente e con estremo rigore: infatti ha una stalla a Carrù e lì di quelle pestifere farine animali non ne entrano.

Brunella Bianchi

Rossetti è lodigiano, di Borghetto, e a Milano lavora dal 1958, quando faceva il garzone alla salumeria Magri, proprio di fronte al Giamaica. Poi Magri chiuse — aveva diciamo ricevuto un'offerta migliore dall'Onnipotente — e nel centro di Milano al posto di Magri e Rossetti Macellai si installarono Rossi e Grassi Salumieri. Rossetti non fece che spostarsi.

Da sempre Rossetti cura in modo particolare la provenienza e la qualità della carne e degli altri prodotti che vende. Lardo di colonnata, salsicce toscane, salame cremonese che produce lui stesso nella zona di Borghetto, carne salata del Trentino. Formaggi valdostani, taleggio e quartirolo della Valsassina.

"La clientela capisce e apprezza", dice.

Controprova. Entra un cliente grande e grosso: "Sono arrivate le salamelle?" "No! purtroppo! ma la sua fiorentina?" "Andrà sulla griglia stasera." Altre due battute e alla fine il cliente se ne va con delle salsicce mantovane. Le ho provate anch'io. Sono squisite.






Boffi, il grande design
entra in bagno

Di tempo ne è trascorso parecchio dai primi passi dell'azienda, nata come laboratorio di falegnameria settant'anni fa in Brianza. Come ci racconta Roberto Gavazzi, amministratore delegato e socio di Boffi (via Solferino 11, tel. 0289.013. 217): "Abbiamo fatto da battistrada in Italia per il design, insieme a Flos, Artemide e altri". Oggi Boffi è uno dei cinquanta membri di Alta Gamma, l'associazione dei più importanti marchi italiani nei settori del design e della moda: fattura 34 milioni di euro e ha centosessanta dipendenti.

Marcella Perodo

Boffi è uno dei più prestigiosi produttori di arredamenti per bagni e cucine; in via Solferino si trovano solo i primi, per le cucine bisogna andare in corso Monforte 19 (tel. 0276.024.480). Tanto per dare un'idea del livello, è griffata Boffi la cucina che la rockstar Madonna ha voluto per la sua plurimiliardaria magione londinese. La preferenza accordata dalla signorina Ciccone non tragga nessuno in inganno: qui non c'è niente "di moda", di effimero o passeggero. Sono solo opere di design pensate per resistere al tempo e alle tendenze.

Boffi ha aperto questo showroom tre anni fa. Cinquecento metri quadri per lanciare "un nuovo concetto di negozio di bagni", come spiega Gavazzi: "Non la solita mostra di pezzi per il bagno, ma un posto dove ritrovare delle atmosfere, degli ambienti". In effetti lo spazio è affascinante, suddiviso in stanze complete di tutto, dalla piastrella fino al sapone. I pezzi - vasche, lavabi, vetrine, rubinetti, eccetera - sono trattati come opere d'arte: a fianco di ognuno è indicato il nome (il titolo), il designer (l'autore) e l'anno di produzione (la data). L'assortimento è di grande essenzialità ed eleganza: forme ardite e materiali inusuali, con una sobrietà di gusto un po' orientale che pervade tutto, dalle ciotole di forma naturale ai sanitari scavati da blocchi di pietra.

La piacevolezza degli ambienti vuole trasmettere al visitatore il desiderio di vivere anche a casa propria lo stesso piacere. In realtà ciò che lo showroom propone è una vera esperienza plurisensoriale: né la musica di sottofondo, né l'incenso che ingentilisce l'aria sono scelti a caso.

È un approccio originale. Dice Gavazzi: "Non ci sono altre aziende che si propongano come interlocutori unici per le stanze da bagno. Noi vendiamo un progetto completo: lo stile Boffi. Uno stile molto contemporaneo, del tutto essenziale, pulito nelle forme, disegnato da architetti internazionali. E assolutamente ai massimi livelli di qualità e immagine".

L'atmosfera complessiva è sicuramente molto cosmopolita, e non solo perché Gavazzi ci viene sottratto per alcuni minuti da una telefonata in francese: su dodici negozi Boffi di proprietà ben otto sono all'estero, dove l'azienda vende metà della sua produzione. Noi, naturalmente, ci accontenteremmo anche solo di quello di via Solferino. Egoisti che siamo.






Artisti in "Famiglia" da 120 anni

Due grandi mostre, a Venezia e a Roma, ci illustrano il futurismo, e un’altra si è già tenuta a Milano presso la Fondazione Mazzotta. Nel pieno di un simile revival bisogna ricordare che il movimento è stato tenuto a battesimo proprio a Milano, alla Famiglia Artistica Milanese (via Cornaggia 16, tel 0280.549.01). Dalla fine dell’Ottocento la Famiglia promuove arte e cultura in un clima di amicizia e di giovialità.

Vittoria Colpi

La segretaria dell’associazione, Mariarosa Bermani, mi accoglie nel suo piccolo ufficio. Sembra felice di abbandonare le pratiche amministrative per calarsi in un frammento di storia. Infatti mi accompagna in una vasta sala sottostante dove un riquadro commemorativo elenca tutti i soci dell’anno 1899, con relativi indirizzi. Non si parlava certo, allora, di privacy… Lo sguardo corre su una lunga schiera di letterati, musicisti ed artisti, scoprendo nomi ormai ricorrenti nelle aste internazionali come Angelo Morbelli, Emilio Gola e Luigi Conconi. La fondazione della Famiglia risale ad appena qualche anno prima, nel 1881.

La fine dell’Ottocento vede una Milano in pieno clima scapigliato…

"Certo, è proprio un esponente della Scapigliatura, Vespasiano Bignami, artista e consigliere comunale, che dà vita alla Famiglia Artistica col programma di sostenere iniziative artistiche libere da ogni accademismo. Mentre Milano si appresta ad inaugurare un’Esposizione Nazionale dell’Industria e delle Belle Arti, evento fortemente atteso, Bignami organizza una bizzarra 'Indisposizione delle Belle Arti', per mettere alla berlina il rigore dell’esposizione ufficiale."

E i rapporti con il futurismo?

"Il movimento futurista nasce appunto pochi anni più tardi. Nel febbraio del 1910, al Teatro Lirico, in una entusiasmante serata sulla nuova poesia, Marinetti propone un linguaggio veloce e dinamico in sintonia con la vita moderna. Subito dopo, la Famiglia Artistica accoglie una prima 'Mostra Intima' dei futuristi. Espongono Umberto Boccioni, Carlo Carrà e l’autodidatta Luigi Russolo. Sulla loro scia, altri giovani avanguardisti si formano ed espongono in Famiglia Artistica nel 1914, proprio alla vigilia della Grande Guerra."

Hai sottolineato un glorioso passato, ma nella Milano di oggi che ruolo svolge l’associazione?

"Nell’attuale sede ospitiamo mostre, concerti ed incontri di poesia. Qui i nostri soci possono seguire corsi di disegno dal nudo, acquerello, scultura e pittura su stoffa. Vi è una quota associativa annuale, di 200.000 lire, alla quale si aggiunge il costo del corso prescelto. L’ambiente è distensivo e non mancano momenti di festa ed abbuffate gastronomiche."






Qui solo tappeti solari.
E di classico, niente

Guerra al classico, hanno giurato. E infatti in mezzo ai tappeti agli arazzi alle stuoie di Tappeti Contemporanei (via San Carpoforo 1, tel. 0286.464.883) di roba classica non ce n'è proprio.

Rosetta Griglié

I metodi di lavorazione, quelli invece sì che sono classici. Lilli Moro ed Ezio Grassi, che aprono il loro locale all'ammirato colto e alla sbalordita inclita nei primi giorni di ottobre, su questo non transigono. I colori devono essere la cosa principale, i disegni sobri, ma rigorosamente a mano devono essere annodati i tappeti. Che poi siano fatti il mese scorso oppure cent'anni fa, industria piuttosto che antiquariato, poco importa. Chi vuole l'antico avrà l'antico, i partigiani del moderno avranno il moderno, nessuno però avrà il "classico".

L'effetto è di una bottega che vende luce solare arrotolabile. "Siamo tra il bazaar e la galleria d'arte contemporanea", dice Moro. "Sono tappeti non tappeti", aggiunge Grassi. Sì, ma la luce, quegli arancioni e quei gialli, il sole? "Tutti colori vegetali." Insomma mangiamoceli pure, se ci sembrano appetitosi, è sempre roba biologica. La maggior parte della gente, però, tali meraviglie le vorrà presumibilmente per mettersele in casa, non per farsene un sandwich.

E può anche chiedere un tappeto su misura, che la Tappeti Contemporanei farà realizzare in India o in Nepal, dove ha partner artigiani abilissimi che non ricusano di lavorare su disegno (gli italiani, neanche morti!).

"Vendendo tappeti d'antiquariato", racconta ancora Moro, "ci siamo resi conto che c'era una richiesta di tappeti originali, e che nessuno a Milano la soddisfaceva. Oggi la cosa che ci sentiamo dire più spesso è: 'Finalmente!' ". Il negozio è in grado anche di restaurare tappeti e pratica prezzi molto vari: dal feltro-arazzo da 800.000 lire al pezzo che va da 2 a 10 milioni.






È vero oppure è falso?
La risposta cerchiamola
al Museo del Collezionista

Propriamente, il Museo del Collezionista d’Arte (via Q. Sella 4, tel. 0272.022.488) è un museo tedesco, fondato in quel di Hannover dal nonno dell’attuale responsabile Gottlieb Matthaes (proprietaria è ora la Gottlieb-Matthaes-Stiftung). "È nato come un punto di riferimento per i collezionisti, per distinguere gli oggetti autentici da quelli falsi", spiega Silvia Meyer, che ne è la direttrice: "Abbiamo voluto avvicinare i visitatori all’opera d’arte creando un’interazione emotiva".

Rosa Gialdina

A beneficio di tutti coloro, e ad occhio sono tantini, che non sanno come si creino le interazioni emotive, diremo che il visitatore ha a disposizione delle test stations dove oggetti autentici e conclamati falsi possono essere manipolati.

Così il primo e più semplice test di una pretesa ceramica etrusca consiste nello spennellarla con acqua: se è stata duemila anni sottoterra ha un odore particolare, se è stata cotta la settimana prima e invecchiata artificialmente non c’è verso, quell’odore non ce l’ha. Una goccia d’ambra? Bucatela con un ago arroventato: se è plastica puzza. Un’icona? Basta osservare la struttura del dipinto con un visore a ultravioletti e una lente d’ingrandimento. "Attenzione, però: il nostro scopo non è la lotta alle contraffazioni: molte copie sono fatte senza nessun intento di ingannare, o sono magari opere d’arte esse stesse. Il nostro scopo è solo la cultura dell’oggetto", dice Silvia Meyer.Oltre all’esposizione permanente, nel Museo si organizzano anche mostre estemporanee, come Arte africana - Arte moderna. Contatti, ispirazioni, conseguenze. Ora parliamoci chiaro, tutti sanno che Modigliani era in realtà uno stregone xhosa che si era messo a creare le maschere del culto in pietra anziché in legno, ma certo vedere gli oggetti in mostra toglie ogni dubbio.

Ancora più interessante è scoprire il modo assai diverso in cui gli africani hanno sempre visto l’arte: al piacere estetico era sempre associato qualche intento pratico o magico.

Oggi le antiche credenze sono in arretramento, ma non senza lasciar traccia: gli atteggiamenti tradizionali si combinano con quelli moderni sia nell’arte che nella vita di tutti i giorni. Entrambi sono ben rappresentati nell’esposizione, e vederla è quasi un must.

Lo scopo del Museo è rendere percepibile ciò che mostra col riportarlo a una dimensione familiare. Per questo anche l’arte africana viene ambientata — magari con l’aiuto di un seducente manichino come quello della fotografia qui accanto, criticato da alcuni per le sue fattezze troppo europee e poco africane, ma in realtà utilissimo per comprendere la situazione della donna in alcune culture nere.






A Barbianello da Roberto e Mariarosa

Ne timeas Fossatos et dona ferentes. Questa volta era lui, Gianni Fossati, il Simposiarca, ed è toccato a lui, alla fine della cena, pronunciare le solenni parole di rito: "Il Simposio Gianni Brera certifica che il ristorante Da Roberto (Barbianello PV, tel. 0385.573.96) offre cibi tipici (e raffinati) a un prezzo moderato". Per i dettagli, continuate pure a leggere.

Simposio Gianni Brera

Eravamo in cinque soltanto quella sera, e l'Oltrepò Pavese era tutto per noi: Gianni Fossati, Maria Adalgisa De Luigi, Marco Baroni, Paolo Brera, e in veste di invitata speciale Magda Tallon. La sala di Roberto ci ha accolti con un caminetto acceso, molto simpatico in quel settembre che pareva un ottobre. Fossati, che di questo nostro Simposio è presidente in pectore, pettina le campagne alla ricerca dei posti migliori, poi li angaria con le sue esigenze assolutamente eccessive ma, purtroppo per loro, incontrovertibili.

Noi, sfidando il boccon lombardo che prima o poi sarà la terribile punizione dell'esigente Fossati e dei suoi commensali, ci siamo lasciati ammannire una dovizia di antipasti dolcemente accompagnati da una polenta fra le migliori del nostro Paese, fatta con la farina macinata al mulino Marano. Straordinaria la polenta, delicata la fonduta al gorgonzola, e buono il cotechino, come c'è da aspettarsi dai due Osti (O maiuscola, prego), Mariarosa Manelli che anima la sala e fa i ravioli, Roberto Scovenna che tiene in movimento la cucina. Proprio loro, infatti, sono i fondatori della Confraternita del Cotechino Caldo (da non confondere con la Confraternita del Cotechino Magro di Spessa Po). Martedì e giovedì il locale apre solo su prenotazione per particolari incontri gastronomici.

Che cosa abbiamo bevuto? Tre Bonarda: Boatti, Albani e Maggi Renzo, il vino più adatto (per motivi tradizionali) ai cibi del Pavese, a cominciare dai salami, uno dei quali è dell'Oltrepò e l'altro, macinato più piccolo, di Carbonara del Ticino. De Luigi loda il salame di testa, Brera il lardo, e tutti apprezzano la pancetta e un tomino con un cocktail di erbe aromatiche e un olio leggero.

Tra i primi si raccomandano un risotto al Castelmagno, straordinario, con una fragranza unica, e i ravioli tipici. Giudichiamo fantastica una spalla di vitello con i porcini e degna di nota la tagliata servita su una pietra nera rovente, così chi la mangia decide la cottura. Il piatto dei formaggi rappresenta una golosità decisamente insolita: insieme a una traccia di miele arriva il tris di don Verri (fra cui il formaggio al ginepro) e altri, inclusa la toma di Gressoney. Con i s'ciappadent di Broni (dolcini semplici e duri) beviamo un passito giallo riserva Monsupello Boatti.

Il motto del locale? "Dar da mangiare a pochi per educarne molti", scherza Fossati, ma non troppo. Qui il pesce è bandito, con la sola eccezione del tradizionalissimo merluzzo "bertagnin": chi vuole il pesce vada là dove è storia, in Sardegna, in Liguria. Mariarosa e Roberto svolgono da un ventennio una ricerca gastronomica attenta e raffinata, animata da una passione che non la cede a quella per qualunque miglior causa. Il Simposio Gianni Brera è lieto di certificare l'esito di questo impegno.






A passeggio con de Chirico

A Ischia era l'estate del 1951 e su una spiaggia vidi per la prima volta Giorgio de Chirico, il pittore delle muse inquietanti; in una specie di tranquilla vacanza di esilio volontario. Il suo viso aveva qualcosa di silenzioso e cupo, con faccia rigida ma tonda che ricordava nell'espressione quella di Buster Keaton l'attore che non rideva mai. Più tardi mi strinse la mano e qualche giorno dopo feci con lui una passeggiata.

Osvaldo Patani

Una semplice passeggiata può farci scoprire cose meravigliose oltre il dominio del percorso curioso.

Ischia è pietrosa; un'isola aspra e anche verde che ricorda la Grecia e per questo piaceva al grande maestro, che mi disse che l'isola era stata visitata e ammirata da Bäcklin che qui trovò ispirazione per le sue pitture. Ci incamminammo fuori dal paese con intorno il mare limpido verso le vigne dove le api turbinavano nell'aria e le lucertole si rosolavano verdi sui germogli.

Il sentiero correva su rocce vulcaniche che scendono a picco; e ci sono tratti in cui è meglio chiudere gli occhi — de Chirico mi guardava e si divertiva a questi passaggi dove cadendo ci aspettano gli scogli sottostanti che sembrano lupi in letargo.

Più in basso in una roccia il mare aveva scavato un sedile e per de Chirico era naturale mettersi là e lasciarsi investire dalle onde e borbottando sentenziò che le parole e gli scritti sono fatti per disperdersi nel moto marino, le pitture no, perché sono le isole dell'arte, e il mare è barocco come certi miei quadri.

La pittura per de Chirico era tutto; la sua vita, il suo palpito, un modo di pensare. Dipingere era la sua vocazione esclusiva da grande protagonista. Senza pittura si sentiva Sansone senza capelli.

Jean Cocteau esploratore dell'arte di de Chirico nel 1928 a Parigi in un volumetto frammentario e aforistico — Le mystère laïc — nota che la sua pittura cambierà e anticipa: che in una tela del Mantegna de Chirico guarda fuori dalla cornice indifferente al supplizio, tra groppe di cavalli barocchi e giovani muscolosi che, nel tender l'arco, si appoggiano a frammenti di statue rotolate a terra.

Dopo le stagioni della metafisica e del surrealismo de Chirico non è stato succube della grande arte italiana del passato, del mestiere sublime con riferimenti a pitture esclusivamente barocche — la pasta dei suoi colori a olio, è sempre dechirichiana e i colpi di pennello infallibili. In questi quadri la cosa che più colpisce è la pazienza e il loro amore al dettaglio con pennellate saporose dove non ci sono errori di gusto; però ci vuole tempo per entrare nell'opera e famigliarizzare.

Si deve a Farsettiarte l’ultimo libro dedicato a Giorgio de Chirico — Romantico e barocco. Gli anni Quaranta e Cinquanta. Il libro è anche il catalogo della mostra che resterà aperta fino al 20 ottobre al Portichetto di via Manzoni. "L’arte è il sogno che l’uomo fa da sveglio", dice un bigliettino autografo riprodotto nel volume. E in questo sogno è possibile per de Chirico immaginarsi, e dipingersi, in costume di turco, di torero o di pittore veneziano del Seicento. Poi arrivano i cavalli, irrompe il mondo classico, gli elementi metafisici… Da vedere.

Avete mai visto fare buchi nell'acqua? Fontana bucò le tele per farsi conoscere!

Il mago però è lui, perché come Picasso, de Chirico qualunque strada prenda è sempre riconoscibilissimo.

Si osservino le sue Venezie, dopo Canaletto, Guardi e Bisson; che vanno guardate come uno spettacolo inventato in un'unica città d'acqua con palazzi con febbre di lusso come fossero dipinti di ombre e chiaro di luna.

De Chirico uomo singolare e difficile sempre sul piedistallo, ha posto l'intelligenza visiva mescolando presente e passato, con arte vecchia e nuova — antica e moderna per occhi d'oggi, di ieri e di domani.


I ritratti di Ionesco

Erano venticinque anni che Irina Ionesco, fotografo francese, non si faceva vedere in Italia.

Albino Magenta

Complimenti dunque ad Eugenio Bitetti per averla messa in mostra, dal 25 ottobre al 31 gennaio, nella Galleria 70 (via della Moscova 27, tel. 0265.978.09). Saranno esposte ventitré immagini: stampe d’epoca ed opere recenti: sono i ritratti femminili che a partire dagli anni Settanta hanno reso celebre questa artista. Nei più recenti emerge la tendenza ad uno stile più sintetico, diverso dalle elaborate costruzioni dei primi tempi.